Riceviamo e pubblichiamo da Stefano Boglioni, 28 anni, di Cuneo. Nella sua lettera racconta l'esperienza di ritorno in Italia durante l'emergenza Covid-19, dopo un anno trascorso in Nuova Zelanda, tra difficoltà di dialogo con ambasciate e consolati e il coraggio di fare da ponte per aiutare i connazionali a rientrare, anche con Facebook (VEDI QUI)

"La mia esperienza, o forse dovrei dire il mio incubo, come per tanti altri connazionali, è cominciato all'inizio del mese di marzo. Dopo quasi un anno trascorso in Nuova Zelanda con un visto di lavoro, a metà febbraio sono partito con alcuni amici statunitensi per un viaggio precedentemente organizzato che ci avrebbe dovuto portare a visitare alcuni paesi dell'Oceania e del Sudest asiatico. Al giorno della partenza (18 febbraio) ancora poco si sapeva di questo virus, per lo più confinato in Cina. I casi in Italia erano pochissimi e fermi a zero in Nuova Zelanda.

Decidiamo così di partire e la prima metà del viaggio è nelle le Isole Cook, in mezzo all'oceano Pacifico; poi da qui, il 28 febbraio, ci spostiamo per tre giorni a Sydney e infine il 3 marzo voliamo in Indonesia, a Bali. Una volta atterrati nel paese asiatico iniziamo a percepire che questo virus non è solamente una semplice influenza, ma qualcosa di più, sebbene sia difficile seguire l'evolversi della situazione in Italia e in Europa. Nel giro di pochi giorni tutto precipita e così in Italia viene prima bloccata la Lombardia e il giorno dopo tutto il Paese. Il virus si espande in Europa e Trump in poche ore chiude tutti i collegamenti con gli Stati Uniti.

Io e i miei due amici americani decidiamo allora di abbandonare le nostre idee di viaggio, a costo di perdere soldi di alberghi già pagati e voli che non prenderemo più. Loro torneranno in America, mentre io farò rientro in Italia. Ma se per loro il viaggio di ritorno andrà a buon fine, il mio neanche inizierà. Essendo che gran parte dei voli per l'Italia dall'Asia erano stati ormai cancellati, decido di acquistare un biglietto con Malaysia Airlines diretto a Londra, con scalo a Kuala Lumpur e un volo Alitalia per Roma. Il tutto per il giorno 15 marzo.

La sorpresa arriva al momento del check-in, alle 23. La compagnia infatti non mi lascia imbarcare in quanto è vietato il transito in Malesia a tutti i cittadini italiani, sebbene io sia ormai da dieci mesi lontano dall'italia. Mi ritrovo così da solo a Bali, senza un posto prenotato per dormire e senza sapere cosa fare. Il giorno seguente cerco di chiamare l'Ambasciata italiana di Bali e quella di Jakarta, senza però ricevere alcuna risposta. Nel frattempo, sempre più voli vengono cancellati all'ultimo secondo e sempre più aeroporti vietano il transito agli italiani. Non vedendo soluzioni possibili per il rientro e spinto anche dall'agitazione di rimanere bloccato in un paese come l'Indonesia, nel mezzo di una pandemia, decido di fare ritorno in Nuova Zelanda il 17 marzo.

A questo punto nel paese si sono registrati 8 casi, ma sono comunque obbligato, arrivando dall'estero, a trascorrere 14 giorni di isolamento. Nel frattempo i casi di contagio iniziano ad aumentare e il governo repentinamente decide di proclamare lo stato di emergenza per 4 settimane e di chiudere qualsiasi attività non necessaria. Fortunatamente mi ritrovo ospite di due amici ad Auckland che non mi fanno pagare l'affitto, ma la mia stessa fortuna non è condivisa da altri ragazzi sul suolo neozelandese.

Così come l'Australia, la Nuova Zelanda, garantendo visti lavorativi annuali ogni anno è ricolma di ragazzi (fino ai 31 anni) che vengono qua per lavorare e viaggiare. Tanti si ritrovano in poche ore senza un lavoro, un luogo dove stare, senza soldi, copertura medica e con un visto in scadenza. La nostra fortuna è stata quella di ritrovarci in uno dei paesi migliori al mondo e con un primo ministro (Jacinda Arden, una ragazza di 39 anni) che dovrebbe a mio modesto parere fornire lezioni di politica e di leadership a tutto il mondo. Sicuramente più facile governare un paese con una bassa densità di popolazione e in crescita economica, ma queste sono state le mosse da lei messe in atto in meno di una settimana:

- chiusura dei confini;

-proclamazione stato di emergenza di 4 settimane con 100 contagiati e 1 morto;

-rimpatrio laddove possibile di cittadini neozelandesi;

-estensione dei visti fino al 25 settembre di tutti gli stranieri presenti sul territorio;

-estensione copertura sanitaria a tutti gli stranieri presenti sul territorio;

-versamento di uno stipendio settimanale da 580 dollari (circa 300 euro) a tutti i possessori di contratto lavorativo che per via delle nuove norme sono costretti a casa (siano essi neozelandesi o non)

Dopo 3 settimane in Nuova Zelanda ci sono 1366 casi e meno di 10 morti. Il virus non è stato sconfitto, ma è sicuramente sotto controllo. Questo è dovuto anche al fatto che è arrivato tardi e hanno potuto osservare la situazione di altri Stati.

Detto ciò, ora purtroppo mi preme sottolineare il tasto più dolente che riguarda il ruolo del governo italiano, della Farnesina e delle Ambasciate. Premetto che tutti siamo consapevoli che il nostro Paese è stato martoriato, che il momento è storico e nessuno se lo aspettava, ma dire che tanti di noi si sono sentiti abbandonati è a dir poco riduttivo. Sin da quando sono tornato in Nuova Zelanda, ho cercato una maniera di tornare in Italia poichè, non avendo un contratto di lavoro, non potevo accedere ai sussidi governativi e sopravvivere per settimane senza entrate economiche (anche senza un affitto da pagare) era difficile.

Il ritorno dall'altra parte del mondo si è però rivelato essere molto complicato. Molte compagnie aeree hanno chiuso, i voli sono stati cancellati e non potevo più permettermi di comprare voli non sicuri, transiti vietati (Malesia, Singapore, Bangkok, Hong Kong, Australia) e prezzi astronomici. L'unica compagnia rimasta operativa è Qatar (fino al 17 aprile) con scali a Doha per Roma, Zurigo, Francoforte e Londra. Ma i prezzi andavano dai 3500 dollari ai 9000 dollari (cioè tra i 1800 e i 5000 euro) e anche questi non sempre erano sicuri.

Il tutto con la difficoltà di raggiungere l'aeroporto internazionale di Auckland per tante persone, in quanto i trasferimenti senza motivazione erano vietati e servivano certificazioni. Le ambasciate si sono dimostrate, pur in un momento di emergenza, non all'altezza. Inizialmente consigliavano di lasciare il paese al più presto senza però dare alcuna indicazione sul come (giustificandosi di non essere agenzie viaggi) per poi rivedere la loro posizione chiedendoci di aspettare qua e di non essere troppo egoisti nei confronti del nostro paese troppo martoriato. Preciso che le persone bloccate in Nuova Zelanda erano e sono anche studenti minorenni, anziani in visita ai familiari e persone con problemi di salute. Abbiamo dovuto aspettare fino a fine marzo per la creazione di un censimento da parte loro.

Io per primo su Facebook mi sono adoperato con altre persone per la creazione di pagine di aiuto per italiani bloccati in Australia e Nuova Zelanda. In poche settimane la pagina registrava più di mille iscritti e prima delle ambasciate, siamo riusciti a creare dell liste di persone. Pur senza i mezzi necessari e alcuni errori, ci siamo rivelati essere un punto di riferimento per molti. Abbiamo organizzato gruppi di persone che partivano lo stesso giorno per sostenersi a vicenda, trovato sistemazioni a persone senza alloggio, dato sostegno morale, risposto a mille messaggi. Il tutto mentre il consolato chiedeva di non intasare i mezzi di comunicazione perchè le richieste erano troppe.

Dimenticavo di specificare che noi siamo volontari e non veniamo pagati, ma abbiamo provato a fare anche da "agenzia di viaggio". Nel frattempo, in Nuova Zelanda sono partiti voli di rimpatrio tedeschi, francesi e olandesi. Il sottoscritto ha avuto la fortuna di essere contattato tramite la lista dell'ambasciata italiana per uno di questi voli. Sono così rientrato il giorno 10 aprile dopo un volo Lufthansa da Auckland a Francoforte con scalo tecnico a Bangkok (non siamo scesi dall'aereo). Il volo dovrò poi pagarlo prossimamente, ancora non so il prezzo (dovrebbe essere meno di mille euro).

Da Francoforte mi sono comprato in autonomia (l'ambasciata specifica non aiuta a trovare un collegamento per l'italia) un volo per milano a 360 euro in quanto non si può stare per più di 24 ore in terra tedesca. Dopo essere stato trattato in maniera impeccabile dalla polizia di dogana tedesca, non posso dire lo stesso per quella italiana. Sarà stata una giornata storta, ma dopo 49 ore di volo si spera di tornare ben voluti nel nostro Paese. 

Specifico che in tutto ciò non mi è mai stato fatto un controllo della temperatura, il volo di rimpatrio era pieno e non sono mai state rispettate le distanze di sicurezza.
In Italia ho raggiunto il luogo dell'isolamento tramite mio zio che è venuto a prendermi. La Farnesina e la polizia specificano che per chi rientra sono vietati i mezzi pubblici e ci si può spostare tramite l'intervento di un familiare con certificazione, un taxi o un'auto a noleggio. I carabinieri della mia città di Cuneo e anche di Milano mi hanno invece esortato a prendere pullman o treni ed evitare l'intervento dei parenti.

Da alcuni giorni ormai sono da solo in isolamento, lontano da tutti, e più passa il tempo più mi sento fortunato ad essere rientrato e penso a tutti i cittadini bloccati in paesi molto più pericolosi della Nuova Zelanda, basti pensare a chi non riesce a tornare dal Sud America, dall'Asia o dall'Africa.

In queste settimane ho sentito e visto storie di persone incredibili, che in confronto la mia è una bella favoletta. A tutto ciò si unisce un sentimento di sconforto verso il mio Paese, quello che dovrebbe darmi un futuro o proteggermi. Spero che questa storia ci possa aiutare a cambiare tanto e in positivo, perché io ho il diritto di stare vicino alla mia famiglia in un momento come questo, ma sempre di più faccio fatica a riconoscermi in questo paese".