"Saluzzo è terra di migrazione antiche: almeno dal Settecento e fino al secondo Dopoguerra, quando dalle valli del Monviso arrivava la manodopera stagionale necessaria alla più estesa agricoltura di pianura. S’è proseguito poi, al crescere di un distretto frutticolo tra i più importanti d’Italia, coi lavoratori stagionali meridionali, magrebini, albanesi, i polacchi e gli altri popoli dell’Est. Infine sono arrivati gli africani dal sud Sahara. La doppia narrazione contrapposta di Salvini e di Soumahoro ci spinge lontano dalle radici storiche del fenomeno migratorio legato al lavoro periodico nell’agricoltura di questo pezzo di Piemonte e ci proietta in una nebbia ideologica in cui tutti sono colpevoli e, di conseguenza, innocenti.

Questo fenomeno ha invece mille sfaccettature e risulta impossibile coglierne la complessità restando in superficie e partendo da analisi distorte dal pregiudizio. Ci vuole la volontà di indagare per comprendere cosa ci fanno, sotto un viale della periferia di una cittadina della campagna cuneese, 150 ragazzi africani, il sindaco, il capitano dei carabinieri, qualche sindacalista di Cgil e Cisl ed un volontario che ha da poco realizzato un ospedale in Africa, a Sololo.

Negli ultimi anni, alla tradizionale presenza di stagionali, residenti e non, si è affiancata e poi progressivamente sostituita quella di lavoratori originari dell’Africa Sub Sahariana. Dal 2009, le otto persone ospitate in Caritas, (nel 2010: 80, nel 2011: 180) sono divenute nel 2017 circa 700. Il motivo è semplice: il distretto frutticolo saluzzese è il primo del Piemonte, con quasi ventimila ettari che concentrano nei mesi estivi la raccolta di migliaia di tonnnellate di frutta, dai mirtilli alle mele, per cui servono braccia numerose, in un tempo ristretto.

Ci vorrebbe un sistema serio di collocamento, invece non esiste nulla che faccia incontrare in tempo reale domanda ed offerta: dunque, arrivano ancora molte persone che, senza contratto, senza casa e senza risorse economiche, sperando di trovare un ingaggio anche solo per pochi giorni, si accampano in modo improvvisato, con punte di criticità non sostenibili sotto il profilo dell'accoglienza, della dignità e dell'inclusione sociale.

Il luogo naturale di raccolta è divenuto Saluzzo. Non si può dimenticare che la maggior parte dei lavoratori è ospitata in azienda (oltre i tre quarti), qualcun altro è inserito in strutture del territorio grazie agli incentivi regionali della Legge 12/2016 e al recente bando Psr. Tuttavia, 500 persone rimangono accampate abusivamente e senza servizi in un viale cittadino presso il Foro Boario. La progettualità di Saluzzo, organizzando le risorse e le forze territoriali, tenta quindi di creare un sistema integrato, capace di accogliere i lavoratori stagionali, di diffondere informazioni reali sul fabbisogno di manodopera annuale e soprattutto di rispondere in modo dignitoso ai bisogni alloggiativi.

Il fenomeno ha assunto dimensioni molto significative, che creano una situazione di grande difficoltà, sia per per gli stagionali che arrivano e che non trovano una possibilità di alloggiamento, sia per la popolazione cittadina che deve convivere con i disagi che la formazione di un accampamento abusivo porta con sé. 600 persone accampate in un comune di 17.000 significano, in proporzione, un accampamento di oltre 100.000 persone a Roma: avete un'idea di cosa significherebbe e di che copertura mediatica avrebbe?

Il Comune di Saluzzo, con il progetto Prima Accoglienza Stagionali (Pas) ha provato ad intervenire strutturalmente sulla situazione. Per la stagione (maggio-novembre) 2018 abbiamo realizzato un luogo di prima accoglienza (Pas) riservato alle persone in cerca di lavoro, ma non inserite in modo continuativo e di conseguenza in grave fragilità economica. Si è provveduto alla ristrutturazione di parte dei locali di un’ex caserma, ottenuta grazie al federalismo demaniale, situata nelle immediate vicinanze del Foro Boario. La struttura è stata in parte sistemata con la messa in sicurezza del tetto e sono stati adottati gli accorgimenti necessari perché fosse in condizioni igieniche soddisfacenti per accogliere 370 persone.

La gestione del Pas è stata affidata a personale competente e retribuito, addetto alla registrazione degli ingressi e al controllo delle condizioni di vita nella struttura, alla manutenzione e al supporto delle richieste dei presenti. Il personale è affiancato da addetti di Cgil, Cisl e Consorzio socio assistenziale Monviso Solidale. Questo personale si è coordinato con il terzo settore cittadino e in particolare con il lavoro di volontari e operatori della Caritas, che da anni svolgono le attività di supporto con gli sportelli legale, amministrativo e sanitario.

L’attuale sistema di assunzione della manodopera richiede necessariamente il contatto diretto tra azienda e lavoratore: quest’ultimo si offre per lavorare ed anche se assunto, può non essere accolto in azienda, trovandosi così in condizioni di oggettiva difficoltà, con scarsa capacità di spesa, per cui la creazione di un luogo per l'accoglienza diventa necessario. Le risorse per la realizzazione di tutto quanto sopra ammontano a circa 400.000 euro, reperiti grazie a Regione Piemonte, Fondazione Crc, Compagnia di S. Paolo, Cgil, Confcooperative, Consorzio Monviso Solidale ed ai contributi volontari di lavoratori ospiti ed aziende agricole. Altri soggetti del terzo settore cittadino si sono aggregati per realizzare l’animazione e curare integrazione, in particolare sono stati coinvolti gli Scout Saluzzo, la Comunità Cenacolo, l’associazione Papa Giovanni XXIII.

A questa prima accoglienza si lega il progetto di Accoglienza Diffusa avviato negli ultimi due anni dalla Caritas Diocesana, Consorzio Socio Assistenziale ed alcuni Comuni della zona (Costigliole, Lagnasco, Saluzzo e Verzuolo). L'abitante del Pas, che ha trovato un'occupazione medio-lunga, è stato pertanto accompagnato in una delle strutture di accoglienza che la rete di partner ha realizzato. Insistiamo affinché la rete si allarghi e lavoriamo alla creazione di un tavolo di lavoro permanente con i partner, infatti la città di Saluzzo ha tentato, in questi anni, di creare rapporti di collaborazione con i Comuni limitrofi, con la Coldiretti e Confagricoltura al fine di strutturare una rete di interventi capace di modificare la difficile situazione degli stagionali.

Tuttavia, la nostra realtà non riesce a sopportare da sola, nonostante l’aiuto di un terzo settore efficace e presente, il peso di una comunità parallela, che vive in condizioni umanamente difficili, sia per il rispetto della dignità umana che per ragioni di decoro urbano, sia per le comprensibili preoccupazioni in merito allo sviluppo di fenomeni di illegalità, che negli anni passati si sono registrati e che soprattutto ci inducono a temere il radicarsi del caporalato. Crediamo che l’esperienza nel 2018 sia stata positiva solo parzialmente poiché almeno 200 lavoratori non hanno trovato accoglienza dignitosa e perché i comuni coinvolti sono stati solo 4. Decine di altri comuni, non meno agricoli di Saluzzo, semplicemente non intendono affrontare la questione. Unita a questo atteggiamento di indifferenza, la totale mancanza di politiche adeguate a regolare il mercato del lavoro stagionale da parte dello Stato, impedisce una programmazione efficace.

Non servono a nulla gli attacchi di quelle forze politiche che confondono la questione migratoria internazionale e nazionale con la vicenda saluzzese, che invece è tutta ed esclusivamente connessa alle politiche del lavoro: parliamo infatti di lavoratori stagionali con permesso di soggiorno e quindi regolarmente presenti sul suolo italiano. E non può essere il sindaco del Comune di Saluzzo a risolvere un problema di flussi legati alla necessità di manodopera, che è reale e certificata dai numeri: 7000/9000 addetti nel comparto (si stima in aumento nei prossimi anni) dei quali 2500 di origine africana nel 2017, saliti già a 3200 circa nel 2018.

Ci vuole davvero il tanto sbandierato (spesso a sproposito) buon senso, per perseguire la dignità, la legalità, la sicurezza, che non devono avere un marchio di partito o ideologico. Certo, le sensibilità possono anche essere diverse, ma quello che è ormai francamente insostenibile è una politica ipocrita e cieca, contrapposta a una propaganda che non vuole parlare di lavoratori stagionali, ma preferisce la retorica della manodopera sfruttata e segregata, mentre già oggi, nelle aziende agricole del saluzzese dorme il 75% dei lavoratori stagionali di ogni etnia, che vivono, lavorano, mangiano e condividono la fatica con gli agricoltori Italiani.

La comunità di Saluzzo si trova sola ad affrontare una situazione grave, come altri comuni in altre zone d'Italia: essa non ha competenza rispetto ai movimenti di chi si sposta legittimamente sul territorio nazionale in cerca di lavoro. Si parla di, quasi 500 mila persone "regolari" disponibili a lavorare ed a cui la politica nazionale deve dare una risposta, evitando che flussi lavorativi creino tensione nelle singole comunità. Non si può prescindere da una seria regolamentazione dei flussi interni di manodopera, che tenga in conto le relative esigenze abitative. La legge vigente non è adeguata all'attuale contesto sociale. Dovrebbero esistere dei meccanisimi che permettano al datore di lavoro di assumere la manodopera ed ai lavoratori di essere inseriti in elenchi da cui le aziende possano attingere.

Vanno disincentivati quelli che sarcasticamente si chiamano “viaggi della speranza”: la non dignitosa ed ingestibile ricerca porta a porta di una giornata lavorativa, che genera insieme all'illusione di un lavoro - perchè così è per molti - la sistemazione improvvisata, gli accampamenti spontanei, l'irrigidimento di comunità da sempre ospitali ed aperte ed infine la produzione di facili prede di chi ambisce a strutturare rapporti di caporalato.

È giunta l'ora di aggiungere, al grande, seppur non ancora risolutivo, contributo sull’accoglienza, un sistema sperimentale ed innovativo di selezione della manodopera che consenta di prevedere con congruo anticipo il numero di stagionali necessari alle campagne annuali di raccolta, di allestire un congruo numero di posti letto e di garantire il rispetto delle normative di settore, allontanando al contempo le infiltrazioni di elementi di illegalità.

Noi crediamo ed anzi siamo la dimostrazione che con pochi sforzi si possa fare integrazione partendo dal lavoro. Interessa a qualcuno capace di andare al di là dei propri interessi? La comunità Saluzzese in tutte le sue declinazioni, istituzionali, sindacali, associative ed imprenditoriali, ha già dimostrato di esserci. Gli altri?".

Mauro Calderoni, sindaco di Saluzzo