FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Alcune rimembranze del cheraschese Flavio Russo: classe 1946, intellettuale, insubordinato, odia le faccende pratiche, la tecnologia e rifiuta il cellulare. "E' un fastidioso acceleratore dei tempi – commenta - lo vivo come un incubo quando vedo adulti e bambini posseduti dall'odioso aggeggio, sempre accostato all'orecchio". Si considera un moderato tranquillo: "Sono stato persino democristiano - commenta - in questo paese, ormai è come un'offesa".

Tiene a precisare, sorretto da una memoria quasi imbarazzante: “Nel 2007 durante la presentazione della rivista storica Bra o della Felicità, a Carlin Petrini, con il quale siamo stati acerrimi avversari per tutta la vita, ben inteso senza odio, gli scappò: “Questo argomento lo tratta l'amico Flavio Russo - mi sono premurato di specificargli: “Collaboratore sì, amico na parloma n'aotra vo'ta.” E il pubblico in sala applaudì. Questo è Flavio, riflessivo, pacato, ma non lascia passare una virgola.

Al mio invito di farci visita risponde garbatamente: “Odio l'inverno, patisco il freddo. Spetoma ra prima". “Peccato! Volevo mi raccontassi dell'edicola di Livo Bramardi - ribatto delusa -, dall'archivio di Tino Gerbaldo è riapparsa quella memorabile fotografia anni settanta, che ti ritrae insieme agli altri perditempo, ben inteso è una tua espressione, davanti all'edicola di Livio in via Cavour: il cuore di Bra". Va bin! Telefonomse, ciama Nucci. Ognuno al calduccio a casa sua". Flavio è bilingue, alterna dialetto e italiano, ambedue pronunciati e scritti in modo irreprensibile.

Mi accontento e resto all'ascolto: “Dal sessantuno ho battuto a raffica via Cavour. Avevo sedici anni, studiavo al liceo Giolitti Gandino di Bra e, come tutti i miei coetanei, incominciavo a frequentare i bar. A Bra la vita sociale vera: affari, interessi, chiacchiere, comprese le vicende amorose, si svolgeva esclusivamente nel tratto da via Cavour ai giardini della stazione. Tutto il resto non esisteva. Si percorreva su è giù la riga, in meridione si dice struscio, incontrando nel percorso persone con le quali si intrattenevano rapporti, apprendendo quindi, i fatti del giorno, anche quelli extra di via Cavour. Se avevi orecchie per intendere sapevi di tutto".

E l'edicola di via Cavour? Raccontami di Livio Bramardi.

“Tutti si fermavano a parlare con Livio e va da sé che sapesse di ogni cosa: era lui a tirare le fila di tutto, dal suo bugigattolo uscivano le notizie fresche di giornata. Era un porto di mare, paragonabile ad un social odierno, un punto di riferimento importante per la città. Fungeva da recapito pubblico, da casella postale, persino le associazioni più bizzarre si appoggiavano all'indirizzo dell'edicola. Un capiente contenitore di materiale, con un via vai continuo di plichi depositati e distribuiti agli interessati.”

Quindi, quasi paragonabile alla redazione di un giornale?

Sì, infatti l'edicola di Livio era davvero la redazione volante del Braidese, il primo giornale della città, nato nel 1964, originariamente quindicennale, fondato da Piero Fraire e Domenico Dogliani. Solo dopo usciva In Campo rosso, una testata esclusivamente di partito che non faceva cronaca".

In che periodo hai fatto parte della redazione?

“Dal sessantanove fino a tutti gli anni ottanta, è stato un periodo divertentissimo della mia vita. Tolto la macchina da scrivere, non c'era altro strumento: era scritto e costruito manualmente".

Di che ti occupavi?

“Della terza pagina intitolata Argomenti: una cronaca, sempre con me il fedele taccuino, annotavo ciò che mi stimolava da raccontare. Avevo la massima libertà di espressione: niente censura, neanche sulle mie battaglie". 

Cultura, coerenza e ironia, i tratti che più mi attraggono del personaggio Flavio. Il suo confronto con l'avversario è pungente, ironico, ma mai con sbavature di odio. “Male non fare, paura non avere” è il suo mantra.

Un esempio di battaglia sul campo?

“Nei primi anni settanta, l'amicizia stretta con il dott. Alessandro Marelli, direttore tecnico della ditta Abet di laminati plastici di Bra, non mi impedì di scrivere sui danni che la plastica avrebbe provocato al mondo. Un articolo pesante, ma scritto con un tono simpatico. Argomento di cui si è parlato dopo 40 anni".

L'amico Marelli come reagì?

“Ribatté con l'elogio alla plastica, sottolineando l'innovazione e i pregi dei materiali. Conclusi l'argomento con: “Ai posteri l'ardua sentenza". Noi ora siamo posteri di noi stessi, l'amico Marelli non c'è più, però la plastica ha invaso gli oceani.”

Il vostro rapporto di amicizia?

“L'anno stesso siamo stati insieme in vacanza. Non era una polemica, era un dibattito sull'argomento. Trattavo temi di attualità: osservazioni sul mondo, sulla società, sul modo di vivere. Però alleggerivo con l'ironia. E, senza presunzione, la rubrica era molto seguita".

Conoscendoti non ho dubbi: l'ironia è l'intelligenza in abito da sera.

“Oltre alla rubrica Argomentando, dal '71 al '75, in prima pagina, a volte in seconda pagina, conducevo la pesantissima battaglia politica con il giornale In Campo Rosso, fondato da Carlin Petrini, in testa, Giovanni Ravinale e Azio Citi. Io, unico studente universitario iscritto al partito della Democrazia Cristiana, un fatto archeologico, ero il bersaglio preferito; il tono della polemica era molto pesante, perché poi sono seguiti gli anni degli attentati e delle brigate rosse".

Altra golosità?

“Trovandoci all'edicola tutte le sere alle cinque, sul marciapiede di fronte che era più ampio, si osservava il passaggio, era una passerella in cinemascope, dove sfilavano ragazze, amministratori, politici, personaggi dell'opposizione, insomma tutto ciò che si svolgeva in città. Fu Livio a suggerire la formazione del gruppo della riga, da cui nacque la rubrica omonima aggiornata sui fatti: il vagabondaggio del paese, quello descritto benissimo nei film anni cinquanta-sessanta: come I Vitelloni, di Federico Fellini, in formato braidese. Poi ci fu la diatriba, quando l'opposizione con la manifestazione Cant'è j'euv (questua delle uova in tempo di quaresima) invase tutto il territorio del nostro gruppo riga. Abbiamo dovuto reagire: un po' alla Don Camillo e l'onorevole Peppone. Il celebre film del 1953, interpreti Gino Cervi e Fernandel, diretto da Carmine Gallone".

Sbocconcelliamo ancora qualcosa di gustoso?

“Un episodio drammatico - comico è stato il mio investimento. Appoggiato al bancone dell'edicola, dando le spalle alla strada, mi stavo intrattenendo con Livio, quando lui di colpo scomparve, come fosse evaporato. Era svenuto per lo spavento, vedendo in diretta l'auto che svoltando in via Cavour, mi stava investendo. La signora al volante si era distratta, urtandomi di fianco ed io mi trovai scaraventato ai piedi degli avventori seduti fuori del Caffè Boglione, qualche metro più avanti. Ero miracolosamente illeso, mentre Livio, appurato che ero vivo, si era ripreso dallo spavento".

Si è fatto tardi, entrambi avvertiamo un certo languore, è ora di pranzo. “Bon aptit, a s'entoma n'aota votà" si congeda Flavio - ed io - va bin! Non azzardo altro, mai profanerei il dialetto per cui nutro un grande rispetto.

Fiorella Avalle Nemolis

(Foto di Tino Gerbaldo)