«La cosa più impressionante che sto toccando con mano in questi giorni va ben oltre i peggiori allarmi degli scienziati: non solo perdiamo 428 chilometri cubi di ghiaccio l’anno, ma quello che ancora resiste è gravemente malato, indebolito dal calore che penetra nelle fessure e che si insinua in profondità. Sapevo che la situazione fosse critica, ma certo non mi aspettavo un tale disastro». Da tre giorni Olivero Alotto, attivista torinese di Slow Food, corre, in un percorso lungo oltre 200 km, sulle quelle terre di Groenlandia fino a poco tempo fa coperte dai ghiacciai. Una sfida che ha voluto cogliere per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi climatica che investe tutte le latitudini e raccogliere fondi per un progetto Slow Food che in Africa punta a formare una rete di leader consapevoli del valore della propria terra e della propria cultura.

Perché se ai Poli si sciolgono i ghiacciai, in Africa la desertificazione dei terreni non conosce soste con un costo altissimo in termini di vite umane e una emorragia migratoria inarrestabile. Eppure, i popoli africani sono responsabili di appena il 4% delle emissioni di gas clima alteranti totali. Una situazione che oggi possiamo definire drammatica nonostante fosse il 5 giugno 1972 quando l’Onu istituì la Giornata mondiale dell’Ambiente in occasione del varo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. In questi cinquant’anni i moniti degli scienziati sono rimasti inascoltati, mentre continuiamo a depredare e inquinare le risorse del pianeta. «Il tempo è davvero scaduto» ribatte Alotto dalla Groenlandia, la sua Race against Time è proprio in simbolo della corsa contro il tempo in cui tutti dovremmo impegnarci per ridurre inquinamento ed emissioni: «Tutti dobbiamo fare la nostra parte, e possiamo iniziare da una scelta quotidiana: il cibo».

La sfida di Alotto è infatti solo l’ultima delle iniziative che Slow Food porta avanti per informare ed esortare tutti ad agire per proteggere il nostro ambiente proprio a partire dalla consapevolezza che cambiando le nostre abitudini alimentari possiamo dare un enorme contributo: la produzione industriale di cibo determina il 21% delle emissioni clima alteranti, in particolare gas serra, NH3 e particolato. L’agricoltura è il principale settore responsabile dell’inquinamento da ammoniaca e delle emissioni di altri composti azotati, che inquinano l’aria e riducono la resa delle colture. Intanto la politica latita e non va oltre alla logica del tutto subito, nega l’evidenza, intrappolata in sterili conti elettorali. Non adeguiamoci: prendiamo esempio dai giovani, dal movimento Fridays for Future, iniziamo dalle nostre scelte quotidiane.

Quando andiamo a fare la spesa, usiamo la testa non limitiamoci a un gesto passivo che ha come unico criterio di scelta il 3x2. Da oggi, Giornata mondiale dell’ambiente, sentiamoci protagonisti: indirizziamo le nostre scelte, influenziamo il sistema produttivo, perché un prodotto che paghiamo poco ha in realtà costi ambientali e sociali altissimi che stiamo pagando tutti: è la chimica impiegata per combattere gli infestanti e aumentare la produzione, sono gli additivi e conservanti, gli ingombranti packaging in plastica, è il sistema distributivo che fa viaggiare gli alimenti in tutto il mondo. E quindi che prodotto abbiamo comprato alla fine? Una bomba per l’ambiente e la salute. Allora impariamo a scegliere perché questo semplice gesto può essere determinante per indirizzare la produzione. Il consumatore ha un forte potere: è giunto il tempo di farlo valere per il nostro ambiente.