GUIDO CHIESA - A Cuneo come nell'Italia intera, tutti desideriamo che sia cancellato il lockdown. Per motivi economici, ma anche per motivi legati alla salute. Come ha ben scritto su questo giornale Eliana Brizio (leggi QUI). La questione non consiste nel dare una risposta al dubbio “aprire o non aprire”, bensì se è possibile farlo in sicurezza. Oppure, per esprimere il concetto in modo più chiaro, con un livello di rischio accettabile.

 

Il Rischio è, tecnicamente, il prodotto delle probabilità di un evento moltiplicato il danno che questo evento può creare. Se le probabilità sono molto basse, possiamo anche accettare un evento con conseguenze pesanti. Numero piccolissimo per numero grande può dare un numero “accettabile”.

 

La ripresa dell’infezione del Covid-19 dopo la riapertura viene ormai data per estremamente probabile da quasi tutti gli esperti. Molteplici gli scenari possibili. Il più favorevole, che tutti si augurano, vede un numero di casi limitato in modo da non mettere di nuovo sotto stress il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Un numero di deceduti contenuto. Poche le zone nuovamente rosse e i danni per le attività economiche modesti.

 

Lo scenario meno favorevole vedrebbe invece un SSN di nuovo sotto stress, anche se in forma minore per l’esperienza accumulata. Nuove zone rosse nelle zone più produttive del Paese con effetti ragguardevoli sulle attività economiche. Ma, soprattutto, un forte contraccolpo psicologico sui cittadini con pesanti conseguenze sul loro stato emotivo (mai e poi mai potremmo sopportare di rivedere i carri dell’esercito trasportare le bare dei morti in solitudine). Né potremmo più chiedere la solidarietà dell’Europa per errori palesemente nostri. I danni sarebbero decisamente elevati.

 

Poiché è compito dell’Autorità tenere in considerazione anche lo scenario peggiore, per il governo è doveroso ridurre le probabilità dell’evento “ripresa del contagio” ad un numero molto prossimo allo zero. In modo tale da ricondurre il Rischio, prodotto della probabilità per i danni, ad un livello comunque accettabile.

 

I numeri che da qualche tempo andiamo cercando servono a dare una idea, per l’appunto, della probabilità dell’evento. Che è strettamente legata al numero delle persone che possono essere infettate dal virus. La cui capacità di espandersi è ampiamente dimostrata da quello che sta capitando in tutto il mondo.

 

A livello nazionale, in base al numero dei casi totali accertati, inclusi cioè i deceduti e i guariti, alla data del 22 aprile, 187.327, la proiezione eseguita con il metodo della curva logistica darebbe come probabile il numero 220.000 come il totale dei casi accertati. Che tiene in conto, in qualche modo, anche dell’incremento dei casi accertati a seguito dell’incremento del numero di tamponi.

 

Come tutti però sanno quel numero non è indicativo per conoscere il numero delle persone che hanno contratto l’infezione. Che è stimato in almeno 10 volte tanto.

 

Una possibile stima parte dal tasso di mortalità, ossia il rapporto tra i deceduti e il numero totale degli infetti, che può essere dedotto da esperienze di epidemie precedenti. Varia dal 5% per sistemi sanitari inefficienti, all’1% per sistemi sanitari efficienti. In letteratura, un numero più basso è stato utilizzato dal Ministero della Sanità inglese quando aveva annunciato che in Gran Bretagna ci sarebbero stati 318.000 morti se si fosse cercata l’immunità di gregge. Un tasso pari a circa lo 0,6%.

 

I deceduti in Italia alla data del 22 aprile erano 25.085. E’ probabile che al 4 maggio questo numero si aggiri intorno ai 30.000. Dividendo questo numero per l’1%, ossia 0,01 (anche se il nostro modo di reagire al virus non è stato dei più brillanti, con un tasso di letalità del 13,40% contro il 3,22% della Germania) otteniamo 3.000.000 persone. Possiamo anche divertirci – si fa per dire – a dividerlo per il numero più ottimistico degli inglesi, ed otterremmo circa 5.000.000. Che non è pari a 10, ma a oltre 22 volte il numero dei casi accertati.

 

Cinque milioni di contagiati sono tanti. In linea con il numero degli italiani che ogni anno prendono la normale influenza. Un numero che tuttavia sta a significare che ci sono altri 55 milioni di italiani, se non di più, che non hanno contratto il virus. E che potrebbero contrarlo. Sempre che ai guariti sia subentrata l’immunità.

 

Credo che a questo punto sia chiaro perché gli esperti del governo suggeriscono estrema prudenza nel programmare l’apertura delle attività. Come è chiaro il perché si vorrebbe arrivare ad avere 0 contagi, come hanno fatto in Cina. E come, se non possiamo attendere lo “0 contagi”, sia vitale agire sulla sicurezza, che diviene un elemento “sine qua non” per riuscire a realizzare lo scenario più favorevole. Da ultimo è anche chiara la responsabilità di coloro che spingono per anticiparlo in nome del danno economico che il blocco sta causando e della libertà individuale. Anche a costo di far correre al paese un Rischio elevato, se non insopportabile.

 

Una responsabilità da far tremare i polsi.

 

Guido Chiesa