ANGELA PITTAVINO - E’ ormai allarme avvelenamento nelle vallate della provincia di Cuneo. Tante le segnalazioni che ogni giorno vengono fatte alle autorità e tramite i social. Perdere un cane o un gatto di famiglia è un evento doloroso: vederli morire a causa di un’esca avvelenata è terribile.

Anche nelle valli cuneesi sono numerose le segnalazioni alle istituzioni di sospetti avvelenamenti ai danni di animali domestici e selvatici. Quella dei bocconi avvelenati è una pratica criminale utilizzata da persone senza cuore né coscienza per sbarazzarsi degli animali "sgraditi": volpi, tassi, lupi, cani o gatti del vicino di casa. L’avvelenamento uccide ogni anno centinaia di vittime silenziose sul territorio della Granda, sia in ambiente urbano che in campagna e in montagna.

Un fenomeno nascosto e difficile da far emergere e contrastare, almeno fino al 2014. Tre anni fa, infatti, è stata istituita la squadra cinofila antiveleno delle Alpi Occidentali, nell’ambito del progetto europeo Life WolfAlps, che si occupa di conservazione e gestione del lupo sulle Alpi e mette in campo, fra le altre, anche azioni di antibracconaggio.

Spiega infatti Irene Borgna, comunicatore del progetto europeo Life WolfAlps: “In Italia l’uomo è ancora la principale causa di mortalità del lupo: si stima che circa il 10-20% dei lupi venga eliminato illegalmente ogni anno. I mezzi utilizzati per sbarazzarsi dei lupi - e, più in generale, degli animali indesiderati - sono differenti (armi da fuoco, trappole), ma uno dei più gravi è rappresentato dall’utilizzo di esche avvelenate, che ha conseguenze negative su tutte le specie animali, selvatiche e domestiche, e sull’ecosistema in generale, e che può costituire un pericolo anche per l’uomo. Per questo nell’ambito del progetto sono state create due squadre cinofile antiveleno formate da guardiaparco, carabinieri forestali e agenti di polizia provinciale - una attiva sull’arco alpino orientale e una sull’arco alpino occidentale”.

Cani e conduttori intervengono sul campo in seguito a segnalazioni di sospetto avvelenamento e svolgono ispezioni preventive e bonifiche di zone contaminate dalle esche: una sola polpetta rimossa significa potenzialmente parecchie vite salvate. Perché a sua volta la carcassa di un animale morto avvelenato diventa un’esca per il carnivoro successivo che se ne nutre, generando una catena di morte disastrosa. 

“Il nostro lavoro è duplice - spiega Giuseppe Gerbotto, guardiaparco del Parco delle Alpi Marittime che lavora in squadra con Nala, un labrador femmina di 9 anni formato in Spagna per trovare i bocconi avvelenati -. Interveniamo o per prevenire laddove c’è il sospetto che qualcuno possa trovare qualche scorciatoia illegale per liberarsi dei predatori, oppure quando riceviamo segnalazioni di episodi di sospetto avvelenamento per effettuare bonifiche e per individuare i reperti da cui prendono avvio le indagini per rintracciare i responsabili”.

Il lavoro delle squadre cinofile antiveleno è determinante, ma non esente da rischi. “La nostra è un’attività molto delicata, perché le sostanze tossiche utilizzate dagli avvelenatori possono essere davvero pericolose, per il cane e non solo - spiega Giuseppe Gerbotto -. Per questo, conduttore e cane devono essere un binomio solido, la nostra relazione è improntata alla collaborazione, al rispetto e alla fiducia reciproci. Nala ci mette il naso e fiuta le esche, io ci metto il cervello e la guido nella ricerca. I nostri cani sono stati educati con la “marcatura del seduto”: una volta individuato il boccone, vi si siedono accanto e aspettano la ricompensa - normalmente il gioco oppure del cibo. Dopo aver individuato le esche, queste vanno repertate e i campioni inviati all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per le analisi: è solo l’inizio dell’attività investigativa vera e propria”.

“Spesso purtroppo le segnalazioni arrivano solo con molti giorni di ritardo, proprio com’è accaduto recentemente in Valle Pesio, dove un cane è stato portato d’urgenza dal veterinario per sospetto avvelenamento dopo una passeggiata nella zona della Palazzina di caccia del Mombrisone - continua Giuseppe Gerbotto -. In casi come questi c’è bisogno della collaborazione di tutti: la segnalazione deve partire il prima possibile dal veterinario altrimenti si perdono giorni preziosi per poter rintracciare i bocconi avvelenati, che si degradano rapidamente. In questo caso la nostra ispezione ha dato esito negativo: i cani non hanno trovato alcun boccone avvelenato”.

“Il fattore tempo è fondamentale. Per questo chiediamo la massima rapidità nelle comunicazioni - interviene Emanuele Gallo, carabiniere forestale di Borgo San Dalmazzo e conduttore di Kira, pastore Belga malinois di 6 anni specializzata nella ricerca di sostanze tossiche -. Di fronte a un sospetto caso di avvelenamento è essenziale rivolgersi a un veterinario e avvertire dell’accaduto gli enti preposti (chiamando il 1515, la sede del Parco o la caserma dei Carabinieri forestali più vicina). Lo stesso veterinario dovrà assicurarsi che gli organi competenti siano informati in modo da prevenire altri avvelenamenti. Il sito in cui l’animale è entrato in contatto con il veleno infatti deve essere segnalato a tutti”.

“In soli tre anni - spiega Gallo -, ne abbiamo viste davvero di tutti i colori. Spesso chi avvelena lo fa per contrastare la presenza dei carnivori, dei lupi in particolare, sul territorio - perché considerati come competitori o perché provocano danni in alpeggio: ma l’avvelenamento non è mai una soluzione. Altre volte, soprattutto nell’Albese, abbiamo constatato che questa pratica barbara viene utilizzata anche per eliminare i cani dei concorrenti nell’ambiente dei tartufi. In altri casi gli avvelenamenti avvengono anche ai danni degli animali domestici dei vicini di casa, per motivi più o meno futili”.

Conclude Giuseppe Gerbotto: “Il veleno solitamente lavora in fretta. Nei casi, si fa per dire, “più fortunati” l’animale muore in pochi minuti. Altre volte, invece, impiega molte ore a morire tra atroci sofferenze. Questa pratica dell’avvelenamento, legale sino agli anni ‘70, è oggi fortunatamente punita penalmente dalla legge italiana”.

Angela Pittavino