PIERO ARESE - Che cosa dobbiamo ancora vedere e sentire sulla Cuneo-Asti? Non bastano gli impegni disattesi, le lungaggini oscillanti tra un campanilismo e l’altro, le furbizie di piccolo e medio cabotaggio, le prese per i fondelli palesi e non, e così via. Si potrebbe continuare a lungo, ma a un certo punto, la lingua si fa spessa e la parola incespica su se stessa, per cui diventa difficile esprimere lo stato d’animo di un povero cuneese, sospeso tra rabbia e frustrazione. E adesso ci è toccato anche leggere prima che l’opera sarà completata entro il 2030; poi, invece, a pochi giorni di distanza, in 4 anni.

Vogliamo renderci conto che l’economia cuneese ha subito, in questi ultimi tempi, cambiamenti profondi nei suoi elementi strutturali? La rendita edilizia non paga più come un tempo: palazzi vuoti giacciono invenduti da tempo, il commercio inteso nella sua accezione tradizionale versa in grave crisi: quando mai abbiamo visto negozi vuoti in corso Nizza?

Nelle frazioni, l’agricoltura caratterizzata dalla piccola o media proprietà non è più in grado di gestire il ciclo produttivo completo, per cui è obbligata a praticare monocolture soggette a variazioni di mercato imprevedibili e sovente poco remunerative. Il concetto di isolamento che stava alla base di una determinata realtà socio-economica e del suo sviluppo, oggi si è tramutato in un disvalore. Non è cosa di poco conto.

Un blocco di potere ultradecennale gestito con grande abilità dalla Dc si è polverizzato e il pullulare di liste locali altro non è che la visualizzazione di questa frantumazione. Il discorso è complesso e ci porterebbe molto lontano, ma le dietrologie servono a poco e non aiutano a comprendere le urgenze che il presente pone in modo indifferibile.

Bisogna rompere l’isolamento, questa è oggi la priorità, se vogliamo realizzare le condizioni propiziatrici di nuovi insediamenti produttivi per valorizzare tutte le potenzialità che il nostro territorio offre. Se vogliamo creare nuova occupazione. Non ne abbiamo bisogno forse? Resta però del tutto evidente che le imprese investono preferibilmente in aree servite da adeguate infrastrutture.

E quindi, per noi cuneesi, il completamento dell’autostrada diviene indifferibile in funzione del nostro futuro.

Spero che tutte le forze politiche sappiano una buona volta esprimere una posizione comune chiara e determinata, per superare questa situazione d’impasse, per ridare un briciolo di dignità alla nostra gente, ai cittadini cuneesi in particolare, che pagano 10 euro in andata a Torino e 10 euro al ritorno, allungando di 13 chilometri. Non è il massimo?

Piero Arese